Pubblicato in: Creatività su Carta, Vita

Hospital vs Beach

Ospedale o Spiaggia?

Una persona qualunque sceglierebbe senza pensarci troppo,la Spiaggia.

Luogo di ritrovo,di divertimento,di presupposto rinfresco dalla calura e secondo le persone e i gusti luogo anche di sfilata di corpi da gustare.

Bleach!! Che schifo! vi dico io.

Sono sempre la voce fuori dal coro non è vero?

Purtroppo è cosi che la penso.

Odio il mare e la spiaggia soprattutto.

Il rito del «andiamo al mare» mi fa schifo,schifo e ancora schifo.

 

In questi giorni ho vissuto strane avventure.

Sono stata prima in uno e poi nell’altro posto,e ho preferito il più mmh…come dire?….’’triste?’’

 

 

 

 

 

 

 

 

La settimana scorsa sono stata ricoverata un paio di giorni dopo uno svenimento durante la notte.

Avrebbero dovuto ricoverare mia madre che a vedermi accasciata a terra si è presa uno spavento tale che ha iniziato a piangere e urlare disperata.

Mi aveva data già per morta ovviamente.

Ma secondo me nel profondo del suo cuore si stava disperando cosi animatamente perchè era felice che finalmente mi fossi tolta di torno.

Ah,finalmente si è data la mazzata finale eh? Non dovrò sopportare più questo peso vivente pensava mentre gridava «La bambina! La bambina! Oddio,che hai fatto?!».

Che ho fatto? Niente. Non ho mangiato quella sera perchè il caldo mi opprimeva anche la gola,e nella notte mentre percorrevo il corridoio per andare in bagno sono svenuta senza nemmeno rendermi conto che mi stava girando la testa.

Tutto in un attimo -pooof!!- e non ho visto ne sentito più niente di fronte a me se non il vuoto che stavo attraversando.

Quello lo ricordo,che mentre svenivo attraversavo il vuoto verso il pavimento vuota e pesante,assente.

Ma lo ricordo,e ricordo di aver pensato Sto morendo? con un velo di felicità e preoccupazione allo stesso tempo.

Mia madre ha pensato che avessi cercato di suicidarmi,e il che mi sembra ovvio visto che nessuno si fida più di me.

Io mi ero ormai ridestata e assistevo alla sua crisi isterica con la voglia di tirargli un pugno per farla tacere,mi controllava le braccia,le gambe,il petto,il collo e piangeva invocando il nome di mia sorella.

Mio padre non c’era.

Mia sorella è arrivata dopo un tempo interminabile e ha subito chiamato l’ambulanza.

Mia madre le ha detto in un frangente di sbadatezza «Chiama tuo fratello».

Certo,mio fratello che quando ha saputo che stavo uscendo dall’ospedale neanche si è degnato di venire a prendermi e mi ha fatta ritornare a casa con il pullman e trentacinque gradi nell’aria.

 

 

 

L’ospedale dove mi hanno portata è lontano da casa,molto,in un altro quartiere,e sarebbe stato…come dire?…decoroso da parte sua aiutare la sua ‘’famiglia’’.

Si,’’famiglia’’ perchè ormai questo siamo per lui,un concetto tra virgolette a cui non appartiene più.

Fatti suoi,io sono tornata sulle mie gambe,rinvigorita dal riposo in ospedale,e senza menomazioni permanenti da aggiungere alla lista già esistente da tempo.

Io sono ‘’forte’’,si,sono una donna forte e indipendente che torna dall’ospedale a casa in pullman (senza aria condizionata ovviamente) dopo aver aspettato mezz’ora sotto il sole che arrivasse (puntualità zero in questa città).

Io sono la donna che ha sorriso al paramedico nell’ambulanza chiedendogli «Ma lei è Alex Turner?».

Ah,che donna sono xD

L’altro paramedico ha detto al collega «Ma la ragazza ha assunto qualche droga?» e quello di fronte a me ha scosso la testa con uno sguardo sospettoso su di me, «Forse ha un allucinazione…».

Io non ricordo che cosa ho visto,ho solo il ricordo di aver tirato in ballo Turner,forse perchè credevo che stavo per morire e volevo pronunciare il suo nome un ultima volta per sentire la voce ancora fremermi mentre sillabavo.

Ma forse il tizio gli assomigliava ed io nemmeno lo ricordo,accidenti…

 

 

 

 

In ospedale mi sono divertita,come sempre direi.

Tra analisi del sangue,varie domande e misurazione della pressione,io mi sentivo felice di essere li.

Aria condizionata.

Questa è la parola chiave.

Bellissimo l’ospedale,ci andrei a vivere.

Ventidue gradi all’ombra,un posto paradisiaco in confronto a casa mia.

No aspetta,è questa la mia nuova casa.

 

 

 

Pressione bassa.

Ovvio,palese che fosse cosi.

Disidratazione.

Sempre ovvio.

Calo degli zuccheri.

Niente di meno ho pensato quando mi hanno detto tutte queste cose.

Un mix letale,assolutamente.

 

 

 

Dopo un ora e qualche medicina su cui non ho voluto indagare ero già in piedi,mia madre fuori dalla stanza costretta ad aspettare nel corridoio parlottava con mia sorella che la calmava accarezzandole la testa.

Beate loro…per loro la vita è talmente facile.

 

 

 

La mattina dopo ho costretto mia sorella a portarmi il computer portatile perchè mi annoiavo.

Mi sono messa a leggere mentre la stanza dove mi avevano deliberatamente sistemata (nell’angolino ovviamente) era un via vai di gente.

Come ci sono finita all’ospedale Nord proprio non lo so,ma forse è stato un segno del destino o qualcosa del genere.

Prima il paramedico/Alex Turner,

poi ho incontrato il mio otorinolaringoiatra preferito che chiamo affettuosamente «Jared Leto»,e infine un compagno di stanza per un ora e mezza che ho subito chiamato «Frank Iero».

Perchè mi abbiano fatto una visita di controllo otorinolaringoiatrica non lo so nemmeno,sarà legato al mio problema esistenziale di epistassi,bho.

Intanto sono stata felice di vedere il dottor «Jared Leto» e ho appurato che si,i suoi occhi sono uguali a quelli di Leto ma presumo sia più giovane almeno di dieci anni del cantante.

Frank Iero era un pò diffidente forse perchè aveva capito che sono strana,forse perchè sono stata troppo frettolosa a rinominarlo cosi.

Anche lui però non rispecchiava l’età del chitarrista,era più giovane almeno di vent’anni.

Frank ha detto di essere lì perchè aveva preso un colpo di calore al mare ma a me sembrava molto nervoso invece che sofferente di un forte mal di testa.

Non l’ho visto un attimo sdraiato sul lettino,sempre a camminare avanti e indietro o ad uscire sul balcone.

Sembrava un topo in gabbia e ad un certo punto gli ho chiesto perchè non andava a fare una passeggiata fuori in corridoio,mi ha risposto che non voleva vedere la fidanzata se fosse ancora li a vegliare.

Dopo avergli fatto la cortesia di controllare per lui,siamo andati a prenderci un gelato al bar.

Era il mattino dopo lo svenimento,e pensavo che un bel gelato fosse giusto per festeggiare la mia ‘’non morte’’.

Frank aveva circa ventitre/venticinque anni, e continuava a guardarsi attorno nervosamente.

Quando ho scelto il gelato più pomposo e costoso di tutti sorridendogli bonariamente mi ha guardata dicendo «Tu sei una farabutta».

Sono scoppiata a ridere e mi sono data al gelato voltandogli le spalle.

Su in camera era comparsa la sua fidanzata quando siamo saliti e lui mi ha subito lanciato occhiate perchè sparissi.

Sono andata a fare un giro nel reparto di logopedia.

Mi sono seduta sulle sedie d’attesa per chi deve fare una visita e ho osservato il corso degli eventi.

Ho pensato a mio nipote e al fatto che poteva essere tra uno di quei bambini,poi mi è passata davanti una ragazza alta almeno un metro e novanta.

Ho sentito la madre dire ad un infermiera la data di nascita della ragazza,98’ e mi sono sentita una fallita come al solito.

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La vista dal terrazzo dell’ospedale.Non so perchè ma mi piace troppo,mi ispira tante emozioni tutte insieme.

Il gelato ormai l’avevo finito e mi ero assuefatta all’aria fresca dell’ospedale,ma ho deciso comunque di uscire fuori sul terrazzo per non assistere ad altre scene che mi traumatizzassero.

Un metro e sessanta,scarsi pure…

Sono una nana.

Mentre mi crogiolavo nella depressione è uscito fuori uno gnomo che appena mi ha vista ha detto «ciao».

Ho pensato Ma che vuole sto gnomo da me? Pensa che ho la sua stessa età??.

Spaventata che il bambino di dieci anni pensasse che li avessi anche io dieci anni ho risposto «Ciao» in modo molto brusco e scontroso.

Il bambino però si doveva essere convinto che avessi la sua età perchè si è avvicinato al cornicione come me e mi ha chiesto «Perchè sei qui tu?».

Bella domanda…voglio buttarmi di sotto ok?.

No,è troppo da dire ad un bambino,meglio non spaventarlo.

«Emh…devo fare una visita» ho mentito spudoratamente.

Lui ha nominato il suo dottore tutto eccitato dicendo che era tanto simpatico,io ho risposto «Io non ho quel dottore» e ho continuato ad ascoltare i suoi elogi.

A me il bambino sembrava apposto,tranne per il fatto che mi aveva rivolto la parola sembrava molto più normale di me che quella mattina avevo delle occhiaie violacee sotto gli occhi.

«Spero che starai bene!» disse dopo tornando dentro e salutandomi con un gesto della mano.

Annuì facendo un mezzo sorriso e scomparve anche lui dalla mia vita.

Quando tornai in camera un paio d’ore dopo,Frank era sparito e io avevo girato già tre reparti dell’ospedale da sola.

All’Ospedale Nord hanno il reparto di oncologia di questa città.

Il pensiero di farci un giro mi rendeva già di per se cattiva,ma poi quando iniziai a cercare di rubare il loro wifi diventai perfida.

Tanto comunque avevano la password e non riuscii ad indovinarla quindi la mia cattiveria non era poi cosi incurabile.

Verso mezzogiorno insieme a mia madre in visita arrivò un bambino sui dodici anni che si era rotto un braccio cadendo da uno scoglio.

Era abbronzato all’inverosimile,come tutti qui ovviamente tranne me,e rideva ancora delle acrobazie che aveva fatto per tuffarsi.

Un emerito scemotto.

All’ora di pranzo poi ci lasciarono soli,io mi rifiutai di mangiare seduta a tavolo di fronte a quell’essere e mi sedetti sul mio lettino a mangiucchiare solo la mela.

Il bello è che lui mi parlava,forse pensava di parlare con la sua coscienza o con un grillo parlante perchè parlava a manetta ed io non gli rispondevo.

«…E lei aveva detto che se avessi fatto un doppio salto mortale mentre mi tuffavo avrei potuto baciarla,allora sono andato a razzo…» stava dicendo.

«Sei uno stupido» mormorai incurante.

Ma non era egoicentrico come sembrava,sentì ciò che avevo detto e mi rispose «Ah grazie,tu mi sembri troppo intelligente invece per capirmi».

«Non è colpa mia se pensi a cose futili bambino,io penso alle cose importanti della vita» mi alzai dal letto e mi avvicinai a lui.

Nessuno poteva insultarmi e visto che era già mezzo che andato sarebbe stato facile per me spezzargli anche l’altro braccio che ora usava per gesticolare.

«Non sono un bambino,sei tu che sei una bambina qui» ripose quello.

Ora      lo     uccido .

«Ah bello,porta rispetto che io ho diciassette anni e tu neanche sai come sono fatti diciassette anni» si,mi sono proprio sciolta i nervi con quel ragazzino, «Qui il bambino,sei tu!».

Rimase zitto e finì di mangiare.

Quel bambino era strano.

Nel pomeriggio,quando pensavo ormai che sarei tornata presto a casa,ritornò a parlarmi sta volta gentilmente.

«Scommetto che sei qui perchè ti sei ubriacata ad una festa ed ora ti è scoppiato il fegato» gentilissimo.

«Ah certo,perchè una diciassettene può fare solo questo vero?» – «Ho avuto un calo di zuccheri,bambino» risposi io stizzita.

Il ragazzino però si infastidiva molto ad essere chiamato bambino e dopo quella volta smisi definitivamente,infondo era simpatico…ma molto infondo.

«Andiamo a fare un giro?» mi chiese nel tardo pomeriggio,ed accettai ormai annoiata fino al midollo osseo.

Il giro fu traumatico,non so se più per me o per lui.

Per sbaglio ci trovammo nel reparto di oncologia e tutti i miei peggiori incubi si realizzarono.

Se penso ancora a ciò che ho visto mi scendono le lacrime agli occhi.

Tutta quella sofferenza condensata in un corridoio,ed io stupida che non aveva mangiato la sera prima ed era caduta come un pero secco in mezzo al corridoio.

 

 

 

Ho conosciuto tante persone all’ospedale,come è ovvio che sia.

Non so perchè ma quando sono in posti come quello la gente mi si avvicina senza spaventarsi.

Forse perchè siamo tutti allo stesso modo vulnerabili tra quelle mura e la mia fragilità non risalta troppo rispetto a quella degli altri.

 

 

 

 

 

 

 

Per tenermi un pò su di morale e per farmi passare una bella giornata,sabato siamo andati a Ginosa a trovare mio padre a lavoro.

Odiavo vederlo mentre rimproverava i colleghi incompetenti,perchè odio quando si arrabbia,allora sono uscita fuori con mia sorella,mio cognato e la bambina e siamo andati a fare una passeggiata sulla spiaggia.

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Dalla spiaggia di Ginosa Marina. L’unica cosa bella era il cielo limpido.

Non ho niente da dire sulla spiaggia.

Ho sempre ho odiato spiaggia e mare ma non ci andavo da cosi tanto tempo che mi sono sentita impressionata…negativamente.

Una malinconia assurda,come se in quel mare aversi perso qualcuno o qualcosa.

Ma adesso lo so,so benissimo cosa ho perso in quel mare.

La mia infanzia e la mia ingenuità di bambina.

Si,ma certo,è questo che mi ha causato una fitta al petto mentre camminavo.

 

 

 

 

 

Avrei voluto piangere ma non era il caso.

Adesso vorrei piangere perchè non ritorneranno mai più quelli anni ed io li ho persi nel mare…nel mare di amarezza e dispezzo.

Ma è forse il caso che pianga ancora?

Per quello che ho perso,

per tutte quelle persone nel reparto di oncologia,

per tutto quello che perderò in futuro,

per tutta la malinconia che mi accompagnerà fuori dall’ospedale?

 

 

 

 

 

And the winner is…..

…….The Hospital.

Autore:

Blogger e studentessa. Iper appassionata di millemila cose. Donna dall'umore super instabile. 🧠Attivista per la salute mentale 💪Femminista intersezionale 🎨INTJ

7 pensieri riguardo “Hospital vs Beach

    1. Una cosa mistica a dire il vero,inizio a pensare di avere un qualche potere paranormale che attira le disgrazie e le stranezze tutte su di me xD

    1. Bella questa xD Se sono riuscita a deprimerti,farti ridere e riflettere allo stesso tempo allora vuol dire che ho espresso bene il mio stato d’animo 🙂
      Grazie tante!!

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