Pubblicato in: 2018

Fear Hate Love

Le volte che noi due abbiamo litigato in vita nostra si possono contare sulle dita di una mano.

Generalmente -lo sapevi benissimo tu,ed io adesso lo so ancora meglio che prima- sono uno spirito rabbioso.
Sputo rabbia da tutte le parti e in qualsiasi momento.
Ogni momento è propizio per me per incazzarmi come una bestia.
Cose di famiglia.
Mio padre e mia sorella sono cosi.
Io ho pure quel disturbo,perciò sono doppiamente rabbiosa.

Eppure con te ho litigato pochissime volte.
Se uno ti vede mi dice «Eccerto Valentina,come puoi litigare con un ragazzo del genere? Ma hai visto che faccia d’angelo che ha?».
Ed era davvero un angioletto.
Oltre che al viso da angelo ne aveva anche il cuore.
Generoso e sempre pronto a perdonare.
Alcune malelingue mi dicevano che era semplicemente ”morto”,non reagiva a niente per questo.
Ma io che lo conoscevo da quando era bambino ho sempre saputo che non era un’ameba.
Lui era semplicemente buono.
Aveva un cuore immenso. Cinquecentomila volte più grande del mio.

Sto sempre a ricordare la tua morte,la sofferenza che ne è derivata in me,il mostro che sono diventata senza il mio angioletto sempre accanto pronto a calmarmi con un solo sguardo.
Ma oggi voglio ricordare la vita,la vita vera che abbiamo fatto quando entrambi eravamo noi stessi.

Io ero Valentì,avevo quattordici anni e amavo il punk e te.
Tu eri ‘Ncesco,avevi quattordici anni,amavi il punk e me.
L’ultima cosa,nessuno dei due la sapeva.

Io,nonostante tutto,ero in primo superiore,in classe con Fiammetta.
Tu,per colpa di quello stesso tutto,eri ancora in terza media.
Fiammè mi diceva ogni giorno che dovevo smettere di esserti amica perché eri un pazzo.
Io avevo la mia teoria complottista,nella quale lei era innamorata di te e ti voleva rubare a me.
Tu,innocente come sempre,non sapevi niente di tutto ciò.
Quando l’hai saputo hai riso,e mi hai detto «Davvero?» «Valentì,ci siamo solo io e te,questa è la verità,lei non fa parte di noi e non può».
E avevi ragione.

 

Noi non litigavamo mai.
L’ultima volta che ti avevo visto arrabbiato era l’anno precedente.
Quando ero stata costretta dopo tanta pressione a dirti tutta la verità di ciò che mi stava accadendo a scuola. Del bullismo.
Avevo visto il tuo viso pietrificarsi,e tra le lacrime di rabbia mi avevi detto tante brutte cose.
Non potevi capire come avessi potuto nasconderti una cosa del genere.
Noi che ci dicevamo sempre tutto.

Quella sera di autunno stavamo parlando al telefono mentre io stavo rannicchiata sul pavimento freddo del bagno con il libro in mano.
Ti ripetevo la lezione di spagnolo,tu ascoltavi in dormiveglia e ogni tanto dicevi «Hai sbagliato Valentì» – «Ottima pronuncia».
L’unica lingua che avevamo in comune col 7 era lo spagnolo.
Io odiavo studiarlo,ma avevo dovuto sceglierlo per stare in classe con Fiammetta.
Tu avevi sempre amato quella lingua,e la conoscevi benissimo.
Era il voto più alto che avevi a scuola dopo la matematica.
Dopo aver ripetuto insieme posai il libro e mi coprii con l’accappatoio.
«Se mia madre mi vede cosi mi uccide» dissi io.
«Tua madre non ti ucciderebbe mai» mi avevi risposto tu.
Io sospirai,tu mi seguisti a ruota.
Avevi una domanda dentro che volevi farmi almeno da un ora,e dopo aver sbuffato parlasti: «Valentì,ma ci torni a scuola domani?» mi chiedesti con tono preoccupato.
Non andavo a scuola da una settimana.
Niente di speciale per me,Regina delle assenze.
Ma sempre fonte di preoccupazione per te.
Lo spettro degli assistenti sociali che venivano a prendermi e mi portavano in casa-famiglia era alle nostre spalle sempre.
«Non lo so,’Nce» «Dipende da come mi sento» risposi io.
Nella mia testa la risposta però la sapevo già.
Non significava un cazzo che studiavo per spagnolo.
Non ci sarei andata a scuola la mattina dopo. Neanche morta.
C’era quella testa di cazzo che insultava Fiammetta,e poi veniva da me e guardava disgustato il mio telefono antiquato.
Avevo una tremenda paura che potessi diventare il suo bersaglio.
Meglio casa. Letto. Musica.
«Come non lo so,Valentì» mugugnasti tu irritato e frustato.
Tu che affrontavi le prese in giro ogni santo giorno,mi credevi viziata.
Ma tu eri più forte di me,io ero una povera scema che stava male.
«Ma che cazzo vuoi?» «Francè,fatti i cazzi tuoi» allora mi irritai anche io.
«Ah,mo uno cerca di non farti finire in carcere e questo è il ringraziamento Valentina?»
«Ma che carcere!?» gridai io togliendomi l’accappatoio di dosso.
«Lo sai,che lo sai» «La casa-famiglia come un carcere è».
«Francè,spara meno cazzate».
«No,tu cerca di fare meno la bambina».
«Chi sta parlando,quello che va ancora a scuola media,almeno io vado alle superiori».
«Quando fai l’arpia…»
«Che c’è?» «Mi odi?» «Ammettilo se ne hai il coraggio».
«Come faccio ad odiarti?» «Mena,ragiona e torna a scuola domani».
«Non vado proprio da nessuna parte,mi scoccia» risposi io seccata.
«E che cazzo studiamo a fare allora?» «No,me lo spieghi?» «Perché io più va avanti più non capisco che stai facendo!».
Non lo sapevo nemmeno io.
«Non sono fatti tuoi che sto facendo della mia vita».
«Scusami se ti voglio bene eh,scusami se vorrei non venire a trovarti in una casa-famiglia» «Sempre se mi ci fanno venire a trovarti là dentro».
«Non ti ci fanno venire» dissi io a dispetto.
«Ah» «Allora questo è» «Non mi vuoi vedere più» «Per questo lo stai facendo».
«Anche se fosse?».
«Valentì…» da arrabbiata la sua voce era diventata di rimprovero.
«Tu non centri niente Francesco,non centri niente!» alzai la voce ancora.
«Io non centro mai niente nella tua vita,no?» mi chiese lui.
Io rimasi un attimo in silenzio.
«Lo sai che non è cosi».

Franky mi disse che aveva sonno e ci salutammo freddamente.
Sapevo che si era incazzato. E gli davo anche ragione.
Ma non riuscivo a capire cosa girasse nella mia testa,non sapevo che fare,come uscirne.

La mattina dopo non mi chiamò per darmi il buongiorno,ed io mi preparai per andare a scuola.
Poi,una volta uscita di casa,all’ultimo angolo utile per cambiare idea,feci dietrofront e mi diressi verso la sua scuola media,sempre nel nostro quartiere.
Controllavo il telefono e l’orario ogni cinque secondi.
Erano le otto meno cinque.
Di solito lui arrivava puntuale a scuola.
Nella mia testa qualcuno urlò «Sei una cogliona! Vai a chiedergli scusa!» e le mie gambe si mossero di conseguenza.
Alzai il passo,poi dopo aver attraversato l’ultima volta,mi feci l’ultimo tratto correndo.
Mi ritrovai davanti a scuola,dove stavano tutti i bambinetti ad aspettare di entrare.
Girai dappertutto ma di lui non c’era traccia.
Iniziarono a scendermi le lacrime dalla rabbia.
Non sapevo cosa fare allora chiamai sua madre.
Cercai di non farle capire che piangevo,le chiesi solo dov’era Francesco.
Mi disse che stava a casa.
Non era andato a scuola.
Chiusi gli occhi immaginandomelo nel letto.
Il solito musone che si copriva la testa col cuscino e non voleva affrontare la vita.
Salutai la madre in fretta e mi diressi verso casa sua.

Quando arrivai sotto al portone vidi la madre che se ne andava in macchina per andare a lavoro.
Alzai una mano per salutarla,lei ricambiò,poi scomparì dietro l’angolo.
Suonai.
Non mi aprì nessuno.
Suonai ancora. Ma non mi apriva.
Suonai e suonai,ma niente.
Nel frattempo avevo iniziato a bestemmiare mentalmente.
Attesi,provai a chiamarlo al telefono ma non rispondeva.
A quello di casa nemmeno.
Non volevo tornare a casa,ne andare a scuola.
Allora rimasi lì ad aspettare,tanto lo sapevo che aveva capito che ero io.
Dopo un quarto d’ora circa uscì dal portone il vecchietto che abitava sopra a loro,ed io ne approfittai per entrare nel palazzo.
Salii le scale fino al primo piano,e suonai alla porta.
«Fraaaancescooo!!» lo chiamai bussando con il pugno, «Apri,Fra,sono io!».
Non mi apriva.
Forse sta dormendo. Forse è solo arrabbiato.
Dopo alcuni fallimentari tentativi di farmi aprire mi sedetti sulle scale e mi tolsi lo zaino d’addosso.
Iniziai a staccarmi le cuticole dalle dita delle mani,e aspettai.
Avevo corso cosi tanto che ero sudata,io che nemmeno ero abituata a correre.
Mi tolsi il giubbotto di pelle e lo poggiai sullo zaino qualche scalino sotto di me.
Iniziai a parlare,sperando che mi sentisse:
«Ma come devo fare con te?» «Francesco,ti prego,aprimi».
«Lo sai che ti voglio bene,e che centri nella mia vita» «Centri più tu che io» «Pensa un pò».
Dopo un lungo discorso nel quale iniziavo a perdermi e credermi pazza,sentii la serratura scattare.
Alzai la testa e vidi la porta aprirsi.
«Ma come devo fare con te?» mi chiese con quella voce cosi piccola che nell’immenso spazio aereo delle scalinate faceva l’eco.
Sorrisi e lo vidi comparire sulla porta,in pigiama e ciabatte.
«Fra!» gridai saltando tre scalini tutti insieme e correndogli incontro.
Lo abbracciai, «Scusami» dissi stringendolo forte.
«Scusa tu» disse lui ricambiando la stretta come poteva.
Era più alto di me,ma non aveva la forza che avevo io.

Aveva ancora il viso pallido e pietrificato,e gli occhi rossi.
«Hai sentito tutto?» gli chiesi.
«Eccerto,hai bussato che sembravi una sul punto di morte».
«Addirittura».
Ormai eravamo in casa,seduti in cucina.
Lui faceva colazione. Io lo guardavo in adorazione.
La sua capacità di perdonare era immensa.
Nonostante le cose brutte che gli avevo detto,e il modo viziato con il quale l’avevo declassato quando in realtà lui era la persona più importante della mia vita.
Proprio alle persone che conosciamo meglio possiamo fare più male.

Autore:

Blogger e studentessa. Iper appassionata di millemila cose. Donna dall'umore super instabile. 🧠Attivista per la salute mentale 💪Femminista intersezionale 🎨INTJ

16 pensieri riguardo “Fear Hate Love

  1. Anch’io mi rendo conto qualche volta, di fare del male alle persone a cui tengo di più. Sarà che sono le uniche a farci provare un vortice di emozioni, sarà che subentra un po’ di gelosia e quindi agiamo in modo sbagliato. Ma chi ti vuole bene sa e capisce, ti perdonerà always.❤

  2. Che bello questo tuo scritto e i dialoghi l’ho letto con piacere. Io credo che alle volte il male che facciamo a chi amiamo sia una forma di sadomasochismo perché sappiamo esattamente dove andare a puntare e sappiamo che appena scagliato il colpo ci farà male

  3. Purtroppo è proprio vero… Ma imparare dai nostri errori ci permette di essere migliori e di ringraziare, in qualche modo, coloro che ci hanno permesso di fare ammenda💖

  4. Un Amore vero. Un Amore grande. Un Amore che vive nei ricordi. Un Amore che, per questo, non può morire. Diceva Trilly a Peter Pan nel mitico film “Hook” : “Peter! Tieniti stretto quel pensiero felice!” Tu, dolce Valentina, tieniti strette quelle memorie così dolci: lui sarà ancora lì, accanto a te, come lo è stato ora, mentre lo raccontavi. E ancora una volta mi hai donato una emozione.

    1. Purtroppo in generale accade spesso,a me anche.
      Ma sarebbe bello piano piano imparare a rendersi conto di quanto sono importanti quelle persone e che non meritano di essere trattate così 😥
      Certo,provate a chiedermelo quando Francesco inizia a cantarmi “Tappaaa,Tappa!” :O

Scrivi una risposta a Valenty Sidewinder Cancella risposta