Pubblicato in: Creatività su Carta

Non era vero

Siamo andati nel parchetto.
Il mio parchetto.
E oltre a noi due c’erano tantissime altre persone.
Persone del passato,che mi saltavano davanti agli occhi come fantasmi incazzati.

L’ho portato lì per superare tutto.
Per superare quel parco che ha fatto parte della mia infanzia e adolescenza,insieme a tutt’altre persone.
Per superare dovevo portarci lui,che fa parte della mia vita adesso.

Mentre ci sedevamo su una panchina a caso io fissavo in lontananza la mia panchina,e ho visto il primo fantasma.

Valentina tredicenne,poggia lo zaino stracarico di libri sul bordo della panchina,e poi si siede accanto.
Non è entrata a scuola,dopo che papà l’ha lasciata davanti al cancello ha preso un altra strada ed è venuta qui nel parchetto.
Non riesce a sopportare l’idea di dover subire gli insulti e le prese in giro che ormai continuano da mesi.
Preferisce il freddo pungente sulla panchina in mezzo all’inverno.
Inizia a piangere in silenzio,le lacrime scorrono sul suo viso mentre pensa di prendere il telefonino per ascoltare la musica.
Cerca di tendere la mano verso la tasca dello zaino ma la lascia ricadere sulle sue gambe,non ha forza nemmeno di ascoltare la musica.
Vorrebbe solo morire.
Si sente sola e sbagliata.
Vorrebbe solo ibernarsi su quella panchina e non tornare alla realtà.
Pensa che dovrà tornare a casa almeno alle dodici per dire che c’è stata qualche riunione e si usciva prima.
Pensa che dovrà rimanere quattro ore seduta là a non far niente.
Sola.
Lei è sola.

Nel presente invece c’era lui accanto a me che mi guardava quasi spaventato.
«Vale,ci sei?» mi ha chiesto.
Io ho chiuso gli occhi,e mi sono voltata verso di lui,l’ho guardato «Si» ho risposto.
Ero tornata momentaneamente.

Dopo aver discusso di insignificanti dettagli dell’amore meno romantico che mi interessi,gli ho detto «Però dobbiamo metterci sulla mia panchina,altrimenti che cazzo siamo venuti a fare?».
Infatti,su quella panchina non mi sentivo a mio agio,non era casa mia.
Abbiamo camminato verso la panchina più esterna,e ci ho poggiato lo zaino sopra con un gesto che mi è sembrato cosi naturale come aprire la porta di casa.
Lui si è seduto ed io ho guardato la scena.
Ho guardato lui seduto sulla mia panchina.
Lui è tutto un altro personaggio,viene da un altro passato che io non conosco e per ora fa parte del mio presente.
Però si adatta bene ad ogni tipo di ambiente.
Ho esaminato la panchina,c’era ancora la scritta che ho fatto io quattro anni fa.
Nel mio periodo da vandala ribelle e innamorata spargevo amore in tutta la città.
E su quella panchina il mio amore è rimasto.
Ho sfiorato le lettere,incredula che avessero resistito a tutte quelle intemperie,mentre noi esseri umani ci eravamo arresi alle prime gocce cadute in testa.
Mario mi ha chiesto «Vale,tutto bene?» «Sono io,Vale,io».
L’ho guardato,ho cercato di sorridere per non farlo preoccupare.
Ma mentre vedevo lui vedevo anche altro.
Lui era lì ora,prima no.

Prima c’ero stata io in interminabili pomeriggi nei quali rubavo il telefono a mia sorella e mi nascondevo su quella panchina vicino casa a parlare con France.
Prima c’ero stata io a piangere al telefono con France,che cercava di convincermi a chiamare lo psicologo.
Il primo psicologo della mia vita.
E pensare a tutto quello che era passato da quella telefonata fatta su quella panchina a quell’uomo che mi stava seduto accanto in quel momento lì mi ha fatto rabbrividire.
Sta peggiorando tutto,da uno psicologo sono finita al centro diurno…sono passata per il reparto di psichiatria,adesso ho anche questo strano rapporto con questo tizio speciale che dice di amarmi.
Questo pazzo.

Mentre ci godevamo il sole,io con la testa poggiata sulla sua spalla,lui con la testa poggiata sulla mia,ho guardato lo spiazzo vuoto dove prima c’erano le altalene.
Ed ho visto chiaramente il secondo fantasma.

Valentina,bimba dai sei anni in su,che gioca sull’altalena spinta da sua sorella maggiore.
Il sorriso sulle labbra di lei,l’unico sole della mia vita da bimba solitaria.
Valentina con la gonnellina,che si sentiva una bimbetta fortunata di avere una sorellona cosi bella e buona che ogni volta che andava a fare la spesa la portava alle altalene dietro al supermercato.
Poi si è accavallata un altra Valentina.
Valentina dodicenne che stava seduta sconsolata sull’altalena e aspettava che venisse il suo amico per giocare.
Non veniva sempre,ma quando veniva erano tutti contenti.
Loro due,la mamma di lui e la sorella di lei.
Valentina dodicenne che vede Franky,gli sorride e quasi si lancia dall’altalena per andare ad abbracciarlo.
La sfida sullo scivolo.
La più coraggiosa è sempre lei,che si sporca tutta e ride insieme a lui che dice «Non mi sporcherò neanche un dito su quel coso schifoso».
Valentina tredicenne,che si è tirata Franky al parco con lei in un giorno di filone,che gli chiede di salire sull’altalena e lui spaventato di cadere ci si siede comunque.
Davanti ai miei occhi passa poi Valentina quattordicenne,con le mani nelle tasche dei leggings fucsia,che parla a Franky con un tono amareggiato.
Ha scoperto i suoi tagli. Ne è rimasta delusa e spaventatissima.
Come se glieli avesse mischiati lei.

Poi ho aperto gli occhi,ho dovuto alzarmi dalla panchina e guardare dall’alto.
C’ero io seduta con le gambe allungate sulle ginocchia di Franky,che se la rideva chiamandomi maschiaccio.
Ci entravamo perfettamente nella panchina seduti cosi.
Lui stava iniziando a farsi più alto di me,le mie gambe erano sempre della stessa lunghezza,e i nostri sorrisi combaciavano sempre come calamite.

Sono voluta tornare alla realtà.
Ho guardato Mario.
Lui non è niente che mi ricordi il mio passato.
Non è come France che mi ricordava una marea di cose che amo.
Non è come Franky che era una parte di me stessa.
Lui è lui e basta.
Forse abbiamo molte cose in comune,forse no.
Forse insieme siamo più forti,o forse è una mia illusione di sentirmi più forte accanto a lui.
L’amore è una cosa assurda.
Ma questo non so cos’è.
L’ultima frontiera dell’amore per la Tappetta.

Dio,odio quando per puro caso prende e mi chiama «Tappa» oppure mi chiama «Va».
Tappa in bocca a Mario non si può proprio sentire.
È una cosa tra me e France.
Tappa e Criceto.
Lui non centra niente con ciò.
E Va poi,solo Franky mi chiamava cosi,e davvero la prossima volta che mi chiama cosi volontariamente Mario fa una brutta fine.
Questa cosa si rispetta,altrimenti è come se non stai rispettando me.

Sono andata via dal parco lasciandoci un altro fantasma.
Il fantasma di me e Mario che facevamo il picnick più da poracci mai visto sulla mia panchina.
Il fantasma di me e Mario che parlavamo,che ci baciavamo,che ci guardavamo negli occhi.
E adesso quando tornerò sulla panchina dovrò aggiungere una nuova scritta.
Cosi che la panchina tenga conto della mia vita meglio di me,che ne ricordi le tracce.
Basta lettera + lettera,è infantile.
Scriverò ciò che si vuole tatuare lui,una frase in cui dovrei credere anche io.

Non era vero.

Autore:

Blogger e studentessa. Iper appassionata di millemila cose. Donna dall'umore super instabile. 🧠Attivista per la salute mentale 💪Femminista intersezionale 🎨INTJ

12 pensieri riguardo “Non era vero

  1. Vale, se ti chiama con nomignoli che ti riconducono ad altre persone che hanno fatto del tuo passato, non prenderla come qualcosa di irrispettoso perché non lo fa con intenzione. Potrebbe essere, invece, straordinario se tu riuscissi a prenderla come un dono della vita, esattamente come immagino che il vostro incontro sia stato per te.

      1. Non credo voglia farti arrabbiare, ma credo sia il suo modo di proteggerti da certi ricordi, dato che ha notato che ti fanno soffrire. Però, se a te non sta bene è meglio se ne parlate, non credi?

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